con due votazioni 6-6 e la terza 7 a 5, il Chairman del World Scout Committee è lo stautnitense Rick Crock, mentre i 2 Vice Chairmen sono lo spagnolo Mario Diaz e il Coreano Simon Rhee. Vuol dire che avevamo visto giusto, se Gregory fosse stato eletto, i calcoli avrebbero portato ad una presidenza libanese. Ma tant'è.
Il blog continua con il riassunto di Mariano.... a lui la parola!
La routine mattutina prima della colazione si compie stamani senza problemi. Nella sala da pranzo prendiamo posto accanto alla segretaria internazionale Agesci, Letizia e a noi si è aggiunge dopo un po’ Toni. I consueti piatti ingolfati di carne di maiale e salse di tutti i colori, sono arricchiti, sempre dall’ottimo Sergio, con la novità del giorno. O, meglio, con una pietanza disponibile dal primo giorno, ma fino ad oggi evitata in ragione del tempo di preparazione e della conseguente coda che lambisce il tavolo in cui è servita. Ma Sergio stamattina sembra disposto a tutto, sicché non c’è ostacolo che tenga. Si sistema al suo posto e attende fiducioso che l’abile cuoco mescoli le uova con qualche erbetta e delle spezie e porta poi trionfante al tavolo una sorta di omelette fumante. La sua fragranza è talmente penetrante che anche Letizia, normalmente più morigerata, si fa tentare e chiede a Sergio di prenderle quella leccornia. Indi il rito della coda si ripete e con esso il ghigno di un Sergio trionfante mentre reca la seconda omelette alla nostra compagna… di merende!
L’occasione è gradita per scambiarsi le esperienze della sera prima. Raccontiamo entusiasti della nostra sauna e lei sviscera i dettagli del loro tour nell’isola, tra un villaggio finto e la scalata del vulcano effettuata con temperature caraibiche. Non può mancare lo sgomento per la serata a Jeju, da noi scientemente glissata. Nelle parole di Letizia, confermate poco più tardi da Luca, la città è un agglomerato informe di viuzze prive del fascino dei nostri paesi montani. Per di più, l’aria è gonfia di odori tutt’altro che piacevoli e l’assetto urbanistico della località non sembra aver indotto il progettista a concepire una piazza, con qualche caffè intorno e magari un tavolino. La questione è doppiamente disarmante, ove si consideri che il programma della conferenza espressamente prevedeva che i partecipanti provvedessero autonomamente alla cena. La nostra delegazione se la cava all’italiana: segue dei malesi, certo più edotti di noi sui costumi locali, e si fionda in un ristorantino niente male. Intendiamoci: tutto spezie, cremine e aglio, ma con pietanze tutto sommato mangiabili. Almeno stando ai racconti di Letizia.
La consueta riunione mattutina di delegazione si apre all’insegna della sconfitta annunciata. Il rapido giro di tavolo consacra i simpaticissimi singaporesi come i nostri preferiti per ospitare il XXIII Jamboree mondiale. Dall’altra parte c’è il Giappone, con cui l’Italia ha rapporti solidi ma che, tra le altre cose, ha già ospitato un Jamboree – con tanto di alluvione – nel 1971. Tutti d’accordo, dunque. Il voto sarà chiaro, ad onta del fatto che la delegazione giapponese siede in conferenza proprio accanto a noi.
Giunti nella sala che ospita i lavori, sono proprio i nipponici a cominciare per primi. Con formalissimo fair play, era stato il presidente della conferenza, Philippe, a sorteggiare il giorno prima quale dei due Paesi avrebbe avuto l’onere di rompere il ghiaccio. La presentazione è scandita dalle solite slide in power-point, dalle parole del direttore del progetto e dalla corsa forsennata di scout di tutte le età che brandiscono in modo un po’ minaccioso degli aerei gonfiabili, a testimoniare, platealmente, il contributo che le aviolinee daranno all’evento. Il che riporta alla mia mente l’incubo del Thai-box, la vaschetta di cibo che al Jamboree in Tailandia eravamo costretti a consumare a pranzo. Offerta dalla Thai Airlines, conteneva versioni demodé dei nostri rustici, succhi di frutta salati imbevibili e vomitevoli, nonché pollo in gelatina e patate fritte nella scorsa era geologica. In teoria, il cibo si sarebbe potuto riscaldare nei forni appositamente allestiti nei supermercati Jam, in cui la temperatura era di almeno 25 gradi inferiore a quella esterna. Ma la loro localizzazione era talmente lontana dai luoghi d’attività che non c’era altra scelta: trangugiare il cibo cercando di masticare il meno possibile. La situazione indusse i più a fingersi vegetariani in quanto il pasto a questi ultimi destinato era assai migliore di quello servito agli altri.
I ricordi vengono interrotti dall’applauso finale che fa da anticamera a Singapore. La presentazione glissa sul sito del campo e si concentra su un Paese che è incrocio di almeno tre diverse culture. Poi parte un video in cui protagonista è Russell, bimbo di sei anni che viene indotto dal nonno a diventare scout e sogna di ospitare il Jamboree. Quando, fermato il nastro della proiezione, le luci tornano a inondare il palco, Russell è lì, in carne ed ossa, e strappa a tutti applausi e tenerezza. Il direttore del Jamboree fa il suo intervento, seguito da un coinvolgente ballo al ritmo dei tamburi e accompagnato dalle sinuose movenze di un drago dagli occhi teneri e enormi.
La chiamata all’urna ripete in stile un po’ più misurato la parata del giorno prima. La delegata albanese ha sfoggiato per l’occasione una maglietta attillata che premia il suo giovane viso e la sua corporatura esile. La kazaka anche stavolta ha indossato un sandaletto da mare e una mise eccentrica: pantalone verde e maglia bianca traforata. L’Australia manda a votare la sua delegata più giovane, che sorride per l’emozione, mentre il Kiribati, ameno Paese membro di Wosm, compie anche stavolta il suo dovere con eleganza. Un po’ come il nostro Roberto, sempre nei ranghi.
L’esito della votazione è annunciato alle 11.15. Con oltre 500 voti a fronte dei 364 raccolti da Singapore, il Giappone si aggiudica il Jamboree 2015. Questa volta la doccia fredda non arriva. Ci siamo spostati da sotto la finestra della signora infingarda. Ma serpeggia la convinzione che per ottenere qualcosa l’Italia debba votare in maniera opposta a ciò che pensa. Tanto vincono sempre gli altri. Ad ogni modo, ci congratuliamo coi nipponici, nostri vicini di casa ed esprimiamo il nostro rincrescimento a Singapore che, pur con i nostri 6 voti, non ha raggiunto l’esito sperato. Chissà come faranno a dirlo a Russell…
Il risultato del voto trasforma i nostri simpatici amici in un’efficiente macchina da guerra. Lo stand del Jamboree viene smontato: via tutti i gadget, i cartelloni, i distintivi e qualsiasi riferimento alla sconfitta subita. Gli stessi sinagoperesi sembrano dileguarsi, inghiottiti negli autobus o negli hotel, comunque lontani da un conferenza ostile. In realtà, a pranzo avremmo scoperto come siano pronti a sostenere il Giappone e abbiano tutto sommato accettato la dura sconfitta.
La seconda sessione mattutina se ne va tra lancio del Moot del 2010 in Kenya, riassunto del Jamboree 2007 in Inghilterra, presentazione della conferenza in Brasile nel 2011 e così via. Il ritmo è scandito solo dalla cerimonia del Lupo di bronzo che a mio avviso dovrebbe andare honoris causa a chiunque assuma la decisione masochistica di dirigere un Jamboree. Sicché quello consegnato a Bill (?), l’inglese che ha gestito il Jam del centenario, è meritato. Come lo sono gli altri, almeno a sentire le motivazioni.
La cerimonia di consegna dei regali all’Host Committee viene annullata sicché il nostro dono, opportunamente adagiato sul tavolo, resta intonso. Se ne parla domani. Peccato. Ci eravamo tutti vestiti a festa per l’occasione. Meno male che c’è stata la consegna del Bronze Wolf…
A pranzo non abbiamo tanta fame. Ci concediamo solo un po’ di frutta. E una chiacchierata con Brigitte, unico esemplare di scout donna nei Boy Scouts of America. Ci spiega che solo fino a 14 anni i BSA accettano esclusivamente maschi. Nei venturers c’è un progetto aperto alle donne che poi possono anche divenire Capi. Ma di contare qualcosa non se ne parla. Gli “alti funzionari dello scautsimo”, come li chiama lei in perfetto italiano, visto che è spostata ad un valdostano, sono tutti uomini e perlopiù ricchi. Ma le cose cambieranno, ne è quasi certa. Forse quando anche le Girl Scouts of America si decideranno ad accettare uomini nella loro associazione.
Il pomeriggio vola via tra numerosi incontri e workshop. Ritiriamo un kit sulla membership, cerchiamo di capire come fare, domani, ad arrivare all’aeroporto, partecipiamo ad un incontro con le associazioni laiche e pluraliste, ad un summit del gruppo di Lisbona per le risoluzioni da votare l’ultimo giorno e facciamo pure una verifica associativa. Il tutto condito da un vis-à-vis col nostro membro di contatto della Regione Europa, il finlandese Henrik.
Poi ci prende l’angoscia delle valigie da preparare e fuggiamo in hotel in taxi, per la modica cifra di 2.300 won, circa 1 euro e 50. Giunti in stanza non resistiamo alla tentazione di un’altra sauna. Essendo diventati più esperti ci concediamo anche il lusso di un balsamo all’henné per i capelli e non paghi del nostro narcisismo, svuotiamo litri di crema tonificante sul nostro corpo statuario. Indi saliamo in stanza.
Dopo una lunga valutazione sul da farsi, optiamo per cenare in camera, con un modico club sandwich al costo di 18.000 won. Quando il cameriere arriva, il carrello portavivande è una ridda di vettovaglie. Due bicchieri d’acqua riflettono le posate argentate che lambiscono un candido piatto adorno di ben 8 tramezzini impilati e oblunghe patate fritte ricoperte di paprica. A lato una vaschetta ospita il ketchup ed un’altra degli ortaggi che solo Sergio ha il coraggio di assaggiare. Il pasto è ben più ricco delle nostre aspettative. A saperlo prima avremmo forse evitato il ristorante coreano e quello giapponese. Cui comunque è valsa la pena andare.
È solo sul far della sera che si consuma lo scioccante rito del packaging. Io me la cavo senza troppo patire: ho evitato di accumulare gadget a monte e ficco tutto in un ordine grosso modo accettabile. Sergio pianifica invece la sua strategia. Con fare inizialmente composto, comincia a riordinare gli abiti e selezionare cosa portare in Italia e cosa invece lasciare in Korea. Poi, ad onta dell’aria condizionata, la temperatura sale e lui leva via la maglietta. Si dà da fare con le scatole dei regali che ha comprato. Getta sul letto, prima cauto e poi stizzito, tutto ciò che avvolge gli asciugamani wosm. Mentre il sudore gli cola dalla fronte, fa fuori anche tutti i pacchettini che contengono i ferma foulard, i gemelli in finto oro, l’elegante cinta nera che ha comprato in vista di chissà quale reception futura. (A proposito, anche qui in Korea si è portato l’abito da sera. Ma non l’ha usato. Sicché esso è stato solo un inutile ingombro. Prima in aereo e poi sulla gruccia del guardaroba in hotel).
L’operazione non sortisce l’effetto sperato e Sergio si rammarica che la fisica non abbia ancora inventato la compenetrazione dei corpi. Il monte Tabor, formato dai suoi panni misti ai cadeaux, svetta sulla calma piatta del lago di Tiberiade che è la sua valigia. Non riuscendo a chiudere il trolley, il capo scout passa al piano B. Apre le tasca del porta-abito che avvolge il suo tuxedo e lo riempie , senza ritegno, di ogni bene materiale, ivi compreso uno zainetto, un ombrello ed una tazza bis della conferenza: il suo kit non gli bastava, sicché ha pensato bene di prenderne un altro. Divide opportunamente i panni sporchi in varie sacche. Gonfia lo zaino del bagaglio a mano con ogni cosa visibile e invisibile. Dunque si dà, col mio apporto insostituibile J, alla penosa opera di chiusura della valigia, realizzata solo grazie alle sue pressioni sulla tela ed ai miei esercizi di tira e molla con la zip. Soddisfatto, benché esausto, per l’operazione, Sergio realizza che mancano all’appello il suo beauty e la sacca delle medicine. Ma nella hall ci attende la riunione di delegazione.
Alle 22, dopo aver scoperto che in conferenza gli altri hanno assistito ad un meraviglioso spettacolo pirotecnico, analizziamo tutti insieme le risoluzioni da votare l’indomani. La discussione procede rapida e lontana dalla mente di Sergio, ormai vinta dall’abbraccio di Morfeo. Roberto se ne accorge anche se il capo scout fa finta di seguire tutto con attenzione. Si risveglia solo per il momento della foto quando la coreana da noi chiamata a scattare le istantanee procede spedita con le macchine digitali ma indugia circospetta con quella tradizionale, la cosiddetta “old car” (letteralmente, macchina vecchia). Non sa bene dove e come guardare. Prima la allontana, poi la avvicina. Infine scatta alla meno peggio. E sorride, soddisfatta di sé.
La serata si conclude con un brindisi insieme. Poi salutiamo chi resta. E saliamo in stanza. Domani ci aspetta il lungo viaggio di ritorno. A proposito. Il beauty e la sacca dei medicinali sono finiti nella mia valigia, insieme alla macchinetta del caffè!
L’occasione è gradita per scambiarsi le esperienze della sera prima. Raccontiamo entusiasti della nostra sauna e lei sviscera i dettagli del loro tour nell’isola, tra un villaggio finto e la scalata del vulcano effettuata con temperature caraibiche. Non può mancare lo sgomento per la serata a Jeju, da noi scientemente glissata. Nelle parole di Letizia, confermate poco più tardi da Luca, la città è un agglomerato informe di viuzze prive del fascino dei nostri paesi montani. Per di più, l’aria è gonfia di odori tutt’altro che piacevoli e l’assetto urbanistico della località non sembra aver indotto il progettista a concepire una piazza, con qualche caffè intorno e magari un tavolino. La questione è doppiamente disarmante, ove si consideri che il programma della conferenza espressamente prevedeva che i partecipanti provvedessero autonomamente alla cena. La nostra delegazione se la cava all’italiana: segue dei malesi, certo più edotti di noi sui costumi locali, e si fionda in un ristorantino niente male. Intendiamoci: tutto spezie, cremine e aglio, ma con pietanze tutto sommato mangiabili. Almeno stando ai racconti di Letizia.
La consueta riunione mattutina di delegazione si apre all’insegna della sconfitta annunciata. Il rapido giro di tavolo consacra i simpaticissimi singaporesi come i nostri preferiti per ospitare il XXIII Jamboree mondiale. Dall’altra parte c’è il Giappone, con cui l’Italia ha rapporti solidi ma che, tra le altre cose, ha già ospitato un Jamboree – con tanto di alluvione – nel 1971. Tutti d’accordo, dunque. Il voto sarà chiaro, ad onta del fatto che la delegazione giapponese siede in conferenza proprio accanto a noi.
Giunti nella sala che ospita i lavori, sono proprio i nipponici a cominciare per primi. Con formalissimo fair play, era stato il presidente della conferenza, Philippe, a sorteggiare il giorno prima quale dei due Paesi avrebbe avuto l’onere di rompere il ghiaccio. La presentazione è scandita dalle solite slide in power-point, dalle parole del direttore del progetto e dalla corsa forsennata di scout di tutte le età che brandiscono in modo un po’ minaccioso degli aerei gonfiabili, a testimoniare, platealmente, il contributo che le aviolinee daranno all’evento. Il che riporta alla mia mente l’incubo del Thai-box, la vaschetta di cibo che al Jamboree in Tailandia eravamo costretti a consumare a pranzo. Offerta dalla Thai Airlines, conteneva versioni demodé dei nostri rustici, succhi di frutta salati imbevibili e vomitevoli, nonché pollo in gelatina e patate fritte nella scorsa era geologica. In teoria, il cibo si sarebbe potuto riscaldare nei forni appositamente allestiti nei supermercati Jam, in cui la temperatura era di almeno 25 gradi inferiore a quella esterna. Ma la loro localizzazione era talmente lontana dai luoghi d’attività che non c’era altra scelta: trangugiare il cibo cercando di masticare il meno possibile. La situazione indusse i più a fingersi vegetariani in quanto il pasto a questi ultimi destinato era assai migliore di quello servito agli altri.
I ricordi vengono interrotti dall’applauso finale che fa da anticamera a Singapore. La presentazione glissa sul sito del campo e si concentra su un Paese che è incrocio di almeno tre diverse culture. Poi parte un video in cui protagonista è Russell, bimbo di sei anni che viene indotto dal nonno a diventare scout e sogna di ospitare il Jamboree. Quando, fermato il nastro della proiezione, le luci tornano a inondare il palco, Russell è lì, in carne ed ossa, e strappa a tutti applausi e tenerezza. Il direttore del Jamboree fa il suo intervento, seguito da un coinvolgente ballo al ritmo dei tamburi e accompagnato dalle sinuose movenze di un drago dagli occhi teneri e enormi.
La chiamata all’urna ripete in stile un po’ più misurato la parata del giorno prima. La delegata albanese ha sfoggiato per l’occasione una maglietta attillata che premia il suo giovane viso e la sua corporatura esile. La kazaka anche stavolta ha indossato un sandaletto da mare e una mise eccentrica: pantalone verde e maglia bianca traforata. L’Australia manda a votare la sua delegata più giovane, che sorride per l’emozione, mentre il Kiribati, ameno Paese membro di Wosm, compie anche stavolta il suo dovere con eleganza. Un po’ come il nostro Roberto, sempre nei ranghi.
L’esito della votazione è annunciato alle 11.15. Con oltre 500 voti a fronte dei 364 raccolti da Singapore, il Giappone si aggiudica il Jamboree 2015. Questa volta la doccia fredda non arriva. Ci siamo spostati da sotto la finestra della signora infingarda. Ma serpeggia la convinzione che per ottenere qualcosa l’Italia debba votare in maniera opposta a ciò che pensa. Tanto vincono sempre gli altri. Ad ogni modo, ci congratuliamo coi nipponici, nostri vicini di casa ed esprimiamo il nostro rincrescimento a Singapore che, pur con i nostri 6 voti, non ha raggiunto l’esito sperato. Chissà come faranno a dirlo a Russell…
Il risultato del voto trasforma i nostri simpatici amici in un’efficiente macchina da guerra. Lo stand del Jamboree viene smontato: via tutti i gadget, i cartelloni, i distintivi e qualsiasi riferimento alla sconfitta subita. Gli stessi sinagoperesi sembrano dileguarsi, inghiottiti negli autobus o negli hotel, comunque lontani da un conferenza ostile. In realtà, a pranzo avremmo scoperto come siano pronti a sostenere il Giappone e abbiano tutto sommato accettato la dura sconfitta.
La seconda sessione mattutina se ne va tra lancio del Moot del 2010 in Kenya, riassunto del Jamboree 2007 in Inghilterra, presentazione della conferenza in Brasile nel 2011 e così via. Il ritmo è scandito solo dalla cerimonia del Lupo di bronzo che a mio avviso dovrebbe andare honoris causa a chiunque assuma la decisione masochistica di dirigere un Jamboree. Sicché quello consegnato a Bill (?), l’inglese che ha gestito il Jam del centenario, è meritato. Come lo sono gli altri, almeno a sentire le motivazioni.
La cerimonia di consegna dei regali all’Host Committee viene annullata sicché il nostro dono, opportunamente adagiato sul tavolo, resta intonso. Se ne parla domani. Peccato. Ci eravamo tutti vestiti a festa per l’occasione. Meno male che c’è stata la consegna del Bronze Wolf…
A pranzo non abbiamo tanta fame. Ci concediamo solo un po’ di frutta. E una chiacchierata con Brigitte, unico esemplare di scout donna nei Boy Scouts of America. Ci spiega che solo fino a 14 anni i BSA accettano esclusivamente maschi. Nei venturers c’è un progetto aperto alle donne che poi possono anche divenire Capi. Ma di contare qualcosa non se ne parla. Gli “alti funzionari dello scautsimo”, come li chiama lei in perfetto italiano, visto che è spostata ad un valdostano, sono tutti uomini e perlopiù ricchi. Ma le cose cambieranno, ne è quasi certa. Forse quando anche le Girl Scouts of America si decideranno ad accettare uomini nella loro associazione.
Il pomeriggio vola via tra numerosi incontri e workshop. Ritiriamo un kit sulla membership, cerchiamo di capire come fare, domani, ad arrivare all’aeroporto, partecipiamo ad un incontro con le associazioni laiche e pluraliste, ad un summit del gruppo di Lisbona per le risoluzioni da votare l’ultimo giorno e facciamo pure una verifica associativa. Il tutto condito da un vis-à-vis col nostro membro di contatto della Regione Europa, il finlandese Henrik.
Poi ci prende l’angoscia delle valigie da preparare e fuggiamo in hotel in taxi, per la modica cifra di 2.300 won, circa 1 euro e 50. Giunti in stanza non resistiamo alla tentazione di un’altra sauna. Essendo diventati più esperti ci concediamo anche il lusso di un balsamo all’henné per i capelli e non paghi del nostro narcisismo, svuotiamo litri di crema tonificante sul nostro corpo statuario. Indi saliamo in stanza.
Dopo una lunga valutazione sul da farsi, optiamo per cenare in camera, con un modico club sandwich al costo di 18.000 won. Quando il cameriere arriva, il carrello portavivande è una ridda di vettovaglie. Due bicchieri d’acqua riflettono le posate argentate che lambiscono un candido piatto adorno di ben 8 tramezzini impilati e oblunghe patate fritte ricoperte di paprica. A lato una vaschetta ospita il ketchup ed un’altra degli ortaggi che solo Sergio ha il coraggio di assaggiare. Il pasto è ben più ricco delle nostre aspettative. A saperlo prima avremmo forse evitato il ristorante coreano e quello giapponese. Cui comunque è valsa la pena andare.
È solo sul far della sera che si consuma lo scioccante rito del packaging. Io me la cavo senza troppo patire: ho evitato di accumulare gadget a monte e ficco tutto in un ordine grosso modo accettabile. Sergio pianifica invece la sua strategia. Con fare inizialmente composto, comincia a riordinare gli abiti e selezionare cosa portare in Italia e cosa invece lasciare in Korea. Poi, ad onta dell’aria condizionata, la temperatura sale e lui leva via la maglietta. Si dà da fare con le scatole dei regali che ha comprato. Getta sul letto, prima cauto e poi stizzito, tutto ciò che avvolge gli asciugamani wosm. Mentre il sudore gli cola dalla fronte, fa fuori anche tutti i pacchettini che contengono i ferma foulard, i gemelli in finto oro, l’elegante cinta nera che ha comprato in vista di chissà quale reception futura. (A proposito, anche qui in Korea si è portato l’abito da sera. Ma non l’ha usato. Sicché esso è stato solo un inutile ingombro. Prima in aereo e poi sulla gruccia del guardaroba in hotel).
L’operazione non sortisce l’effetto sperato e Sergio si rammarica che la fisica non abbia ancora inventato la compenetrazione dei corpi. Il monte Tabor, formato dai suoi panni misti ai cadeaux, svetta sulla calma piatta del lago di Tiberiade che è la sua valigia. Non riuscendo a chiudere il trolley, il capo scout passa al piano B. Apre le tasca del porta-abito che avvolge il suo tuxedo e lo riempie , senza ritegno, di ogni bene materiale, ivi compreso uno zainetto, un ombrello ed una tazza bis della conferenza: il suo kit non gli bastava, sicché ha pensato bene di prenderne un altro. Divide opportunamente i panni sporchi in varie sacche. Gonfia lo zaino del bagaglio a mano con ogni cosa visibile e invisibile. Dunque si dà, col mio apporto insostituibile J, alla penosa opera di chiusura della valigia, realizzata solo grazie alle sue pressioni sulla tela ed ai miei esercizi di tira e molla con la zip. Soddisfatto, benché esausto, per l’operazione, Sergio realizza che mancano all’appello il suo beauty e la sacca delle medicine. Ma nella hall ci attende la riunione di delegazione.
Alle 22, dopo aver scoperto che in conferenza gli altri hanno assistito ad un meraviglioso spettacolo pirotecnico, analizziamo tutti insieme le risoluzioni da votare l’indomani. La discussione procede rapida e lontana dalla mente di Sergio, ormai vinta dall’abbraccio di Morfeo. Roberto se ne accorge anche se il capo scout fa finta di seguire tutto con attenzione. Si risveglia solo per il momento della foto quando la coreana da noi chiamata a scattare le istantanee procede spedita con le macchine digitali ma indugia circospetta con quella tradizionale, la cosiddetta “old car” (letteralmente, macchina vecchia). Non sa bene dove e come guardare. Prima la allontana, poi la avvicina. Infine scatta alla meno peggio. E sorride, soddisfatta di sé.
La serata si conclude con un brindisi insieme. Poi salutiamo chi resta. E saliamo in stanza. Domani ci aspetta il lungo viaggio di ritorno. A proposito. Il beauty e la sacca dei medicinali sono finiti nella mia valigia, insieme alla macchinetta del caffè!
Il post di domani sarà scritto da Babacar, il nostro Commissario Internazionale che è rimasto a difendere i colori del CNGEI insieme a Luca Scarpiello, delegation obsever & Youth Advisor...
Nota della CInt WAGGGS (CNGEI + FIS): le GSUSA (Girl Scouts of the USA), le citate girl scout americane, accettano i 'maschi'.
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