Dalla corea arriva un sms lapidario di babacar, che rispondeva alla mia richiesta di come stavano andando le cose, cercando di capire se fossi io a portare jella o l’intera delegazione dato che ad ogni votazione si presentavano risultati opposti. Opto per la prima ipotesi: infatti, l’sms di Babacar dice che la Prima risoluzione (presentata dal WS Committèe e molto simile a quella dell’Italia ma più aperta proprio per non perdere la possibilità di gestire l’iniziativa) è passata con 114 voti… un successone, considerando, se le cose non sono cambiate durante il rientro mio e di mariano, la delegazione italiana avrebbe dovuto ritirare la propria risoluzione a patto che il WSC inserisse una clausola che la responsabilità politica dell’operato sulla Governance (leggi democrazia nel movimento) sia del WSC e che si dia il risultato prima della prossima WS Conference, in maniera tale che tutte le Organizzazione Scout Nazionali possano discutere prima di andare in Brasile nel 2011. Se tutto è rimasto così, per noi è stato un successo. Speriamo bene.
Mariano continua con la sua descrizione della giornata.
Il giorno del rientro si apre alle 5.15 con lo squillo del telefono-sveglia dell’hotel, che segue di qualche minuto la suoneria del mio cellulare. Quando devo alzarmi presto, faccio sempre affidamento su più di un apparecchio, non si sa mai. Conclusi la sera prima i complessi preparativi per il viaggio, bastano pochi minuti per infilare le ultime cose e prepararsi alla partenza.
Con cinque minuti di anticipo rispetto al previsto, alle 5.40, il nostro cameriere bussa alla porta e trascina in stanza un carrello portavivande che contiene la colazione. Purtroppo il ristorante dell’albergo apre solo alle 7.00 e per non perdere il voucher già pagato, abbiamo dovuto optare per un american breakfast in stanza. Aggiungendo la differenza di circa tre euro a testa e atteggiandoci a grandi signori.
La lunga tovaglia bianca scende ordinata dal carrello magistralmente trasformato in tavolino dal nostro maid. Il piatto accoglie bacon, prosciutto, patate e asparagi, mentre le uova strapazzate tingono di giallo una ciotola a parte. Nel bicchiere c’è premuta di arancia, migliore dell’omologo succo mattutino e un’elegante brocca argentea tiene in caldo il caffè. Ovviamente qua e là non mancano le salsine ma il solo ad averne fino a questo momento goduto, ossia Sergio è – udite udite! – stomacato. Per la prima volta nella storia della XXXVIII Conferenza mondiale Wosm, Sergio non gusta tutto e lascia molta roba nel piatto. Io, in compenso, quasi a non voler sprecare l’opportunità, mangio tutto con piacere, mentre dal balcone comincia a fare capolino l’alba.
Alle 6.10 ci aspetta il taxi per l’aeroporto. Lo shuttle bus garantito all’arrivo non è disponibile per la nostra partenza anticipata, sicché ci siamo dovuti organizzare da soli. Benché tutti gli interpellati abbiano asserito con inusitata sicurezza che l’aeroporto di Jeju dista circa 50 minuti in auto dall’hotel, l’autista impiega solo mezz’ora. Durante il tragitto facciamo a meno dell’aria condizionata che in Korea sembra più diffusa della carta igienica. Prendiamo aria dai finestrini spalancati e ci soffermiamo a riflettere su come il vento non riesca ad essere fresco nemmeno a quest’ora del mattino. L’umidità tocca livelli allucinanti. Chi non può permettersi nemmeno un modesto condizionatore, non deve vedersela per niente bene.
Rassegnati per l’arrivo anticipato in aeroporto, scendiamo al Terminal giusto dopo aver giocato a indovinello con il tassista, che in anglo-coreano ci chiedeva se dovessimo partire con la Korean Airlines o con la Asiana. Detta così sembra nulla, ma in realtà l’opera di interpretariato è stata a tal punto difficile che Sergio ad un certo punto ha deposto le armi. Le operazioni di check-in procedono nella norma, sicché poi possiamo fiondarci nell’imperdibile Duty Free dell’aeroporto, all’uopo sponsorizzato da qualcuno che ha tutta l’aria di esserne il direttore e che, comme d’abitude, veste in giacca e cravatta.
Il Duty Free non delude le nostre aspettative. La fiera del kitsch si ripete uguale a se stessa: i diversi alloggiamenti ospitano souvenir dai colori sgargianti, prodotti elettronici, profumi più costosi che in Italia, cravatte assai eccentriche targate Missoni. Queste ultime, incredibilmente, incontrano il favore di Sergio che tuttavia risponde con un sorriso allo sguardo interrogativo della commessa che, dopo aver annunciato il prezzo dell’accessorio, non inferiore a 104 dollari, aspetta un suo cenno di assenso per procedere all’incasso. Non se ne parla proprio e non ci resta dunque che sedere sulle poltroncine in attesa dell’imbarco.
L’aereo giunge puntuale a Gimpo, aeroporto domestico di Seoul. Alle 9.20 siamo ai nastri dei bagagli, alle 9.30 usciamo fuori e alle 9.40 parte lo shuttle bus per Incheon, l’aeroporto internazionale. Tanta efficienza non si era mai vista. E ad essa si deve ad un tempo la nostra successiva avventura, nonché la fortuna che l’ha accompagnata.
Tutto si basa sulla convinzione che a Incheon avremmo dovuto trascorrere un’era geologica. Giunti lì alle 10.30, avevamo ben due ore e mezzo prima del successivo volo per Monaco. Decidiamo dunque di girare un po’ in aeroporto, consumiamo un caffè, ci facciamo tentare dalla “korean experience” riservata solo agli stranieri. Su quest’ultima glissiamo perché si tratta in fondo di costruire una scatoletta al ritmo di un suono che stenta a diventar musica, nonostante la suonatrice sia lì in carne ed ossa e cerchi pure di fare del suo meglio. Vista una presa elettrica, ci sediamo a terra per carica il pc e al tempo stesso finire la scrittura del post di ieri. Mentre butto giù le ultime frasi, Sergio prende sonno e io decido di svegliarlo solo un quarto d’ora prima dell’imbarco: tanto nel punto in cui siamo c’è una connessione wireless che funziona perfettamente ed inserire il post non dovrebbe essere un problema.
Sergio legge l’elaborato, si connette alla Rete e invia lo scritto al blog. Poi con calma ci avviamo verso il nostro gate numero 126. Siamo appena al 30! Presi dal panico acceleriamo il passo e ci facciamo strada sui tapis roulants a colpi di spinte abbastanza educate, date le circostanze. Poi un inquietante cartello arancio associa i gate superiori al 100 con l’immagine di un treno. Io non capisco ma Sergio sì: c’è da prendere un trenino di collegamento per arrivare al nostro imbarco e siamo in ritardo pazzesco. Confidiamo su quelle chiamate strappalacrime dell’ultimo minuto, tipo “last call for passengers Fiorenza and Iadanza” ma nulla di tutto ciò si verifica.
Al binario il treno è pronto alla partenza proprio nel momento in cui arriviamo. Nella concitazione studiamo il percorso da fare una volta giunti al terminal giusto. Bisogna girare a destra e imboccare il gate 126 a metà strada. Però appena scesi ci sono ben tre rampe di scale mobili da percorrere e l’età non è più quella di una volta. All’affanno si aggiunge lo sconforto generato dalla prospettiva di rimanere ostaggio a Seoul a tempo indeterminato. Il gate 126 tra l’altro non è affatto metà strada. Ci sono almeno altri 4 tapis roulants da percorrere. Io faccio da apripista ma ormai sembra che tutto sia perduto. Poi, dagli abissi di un incubo che credo non ci lascerà tanto facilmente, intravediamo la coda dei passeggeri dell’aereo intercontinentale. Tiriamo un sospiro di sollievo e ci ricomponiamo, quasi a dire “siamo sempre stai qui, non aspettavamo altro che imbarcarci”. La finta però no riesce molto perché sull’aeromobile non funziona l’aria condizionata ed io trascorro tutto il tempo prima del decollo a sventolarmi con l’inutile cartoncino contenente le misure da adottare in caso di emergenza.
Durante le 11 ore di volo per Monaco, Sergio approfitta per schiacciare più di un pisolino. Io provo a dormire un po’, ma non ci riesco, né mi fa compagnia la musica classica che seleziono nel mio auricolare per conciliare il sonno. Così mi dedico alla lettura ed alla visione di un film. Il tempo trascorre abbastanza in fretta, tra uno slavo sinistro che effettua riprese a tutto campo e le hostess che non cessano di servirci da mangiare. Si inizia con un aperitivo a suon di mandorle tostate. Poi viene il pranzo, per il quale entrambi glissiamo l’opzione tipica coreana perché Sergio l’ha provata con poca soddisfazione all’andata. Dopo qualche ora c’è lo snack, un panino al formaggio e prima dell’atterraggio viene servita la cena. Anche qui, da buoni italiani, evitiamo di mangiare il nostro cibo cucinato dagli altri, sicché non prendiamo nemmeno in considerazione l’opzione “Linguini pasta with tomato sauce” e scegliamo la cotoletta di maiale in salsa di curry.
Poi impieghiamo la parte finale del viaggio nel guardare un film grottesco. La trama ruota attorno ad una famigliola composta da madre (abbandona dal marito), due figli maschi e una femmina, che si trovano a vivere nella casa ereditata dal un prozio. Uomo dalla mille virtù, costui ha scoperto l’esistenza di creaure magiche o ovviamente non ha troato meglio da fare che inserire in un libro tutta la sua conoscenza. Sicché non poteva mancare la solita solfa dell’orco cattivo che tenta di impadronirsi di tutto. La famigliola è al riparo solo in casa, all’interno di un cerchio formato da funghi velenosi e da una strana pozione. Il seguito è un intrugli di goblin sconfitti a suon di salsa al pomodoro, folletti magici che si trasformano in creature cattive, grifoni salvatutti e creature incantate più immaginate che inquadrate. Sul più bello – si fa per dire! – la pellicola s interrompe ed il fil riparte daccapo sicché per scoprire il finale bisogna sorbirselo tutto di nuovo. L’avventura termina con l’orco che si impadronisce del libro m vien inghiottito da una creatura della foresta. Niente di più disarmante.
Così scendiamo a Monaco e andiamo alla vaga ricerca di alcuni shop proficuamente vistati all’andata. Non riuscendo a trovarli, ci rassegniamo a bere un specie di limonata e a leggere giornali italiani. Verifichiamo il gate di partenza perché l’esperienza insegna e poi saliamo a bordo. L’aereo accumula 35 minuti di ritardo alla partenza ma poi recupera in volo sicché l’arrivo a Napoli è puntuale. Debbie ci accoglie nella sua supercar, Riccardo dorme sul sedile posteriore. Giunti a casa ci godiamo una spaghettino al pomodoro, giusto perché non abbiamo mangiato abbastanza, e poi Sergio non può fare a meno di mostrare tutti i regali ed i gadget incastrati nella valigia e nel porta-abito. I commenti di Deborah non sono riferibili.
Del resto, non tutto è narrabile. E queste cronache non rappresentano che il sunto di una esperienza. Hasta pronto!
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