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19 lug 2008
rientro a casa, mentre la conferenza continua
Mariano continua con la sua descrizione della giornata.
Il giorno del rientro si apre alle 5.15 con lo squillo del telefono-sveglia dell’hotel, che segue di qualche minuto la suoneria del mio cellulare. Quando devo alzarmi presto, faccio sempre affidamento su più di un apparecchio, non si sa mai. Conclusi la sera prima i complessi preparativi per il viaggio, bastano pochi minuti per infilare le ultime cose e prepararsi alla partenza.
Con cinque minuti di anticipo rispetto al previsto, alle 5.40, il nostro cameriere bussa alla porta e trascina in stanza un carrello portavivande che contiene la colazione. Purtroppo il ristorante dell’albergo apre solo alle 7.00 e per non perdere il voucher già pagato, abbiamo dovuto optare per un american breakfast in stanza. Aggiungendo la differenza di circa tre euro a testa e atteggiandoci a grandi signori.
La lunga tovaglia bianca scende ordinata dal carrello magistralmente trasformato in tavolino dal nostro maid. Il piatto accoglie bacon, prosciutto, patate e asparagi, mentre le uova strapazzate tingono di giallo una ciotola a parte. Nel bicchiere c’è premuta di arancia, migliore dell’omologo succo mattutino e un’elegante brocca argentea tiene in caldo il caffè. Ovviamente qua e là non mancano le salsine ma il solo ad averne fino a questo momento goduto, ossia Sergio è – udite udite! – stomacato. Per la prima volta nella storia della XXXVIII Conferenza mondiale Wosm, Sergio non gusta tutto e lascia molta roba nel piatto. Io, in compenso, quasi a non voler sprecare l’opportunità, mangio tutto con piacere, mentre dal balcone comincia a fare capolino l’alba.
Alle 6.10 ci aspetta il taxi per l’aeroporto. Lo shuttle bus garantito all’arrivo non è disponibile per la nostra partenza anticipata, sicché ci siamo dovuti organizzare da soli. Benché tutti gli interpellati abbiano asserito con inusitata sicurezza che l’aeroporto di Jeju dista circa 50 minuti in auto dall’hotel, l’autista impiega solo mezz’ora. Durante il tragitto facciamo a meno dell’aria condizionata che in Korea sembra più diffusa della carta igienica. Prendiamo aria dai finestrini spalancati e ci soffermiamo a riflettere su come il vento non riesca ad essere fresco nemmeno a quest’ora del mattino. L’umidità tocca livelli allucinanti. Chi non può permettersi nemmeno un modesto condizionatore, non deve vedersela per niente bene.
Rassegnati per l’arrivo anticipato in aeroporto, scendiamo al Terminal giusto dopo aver giocato a indovinello con il tassista, che in anglo-coreano ci chiedeva se dovessimo partire con la Korean Airlines o con la Asiana. Detta così sembra nulla, ma in realtà l’opera di interpretariato è stata a tal punto difficile che Sergio ad un certo punto ha deposto le armi. Le operazioni di check-in procedono nella norma, sicché poi possiamo fiondarci nell’imperdibile Duty Free dell’aeroporto, all’uopo sponsorizzato da qualcuno che ha tutta l’aria di esserne il direttore e che, comme d’abitude, veste in giacca e cravatta.
Il Duty Free non delude le nostre aspettative. La fiera del kitsch si ripete uguale a se stessa: i diversi alloggiamenti ospitano souvenir dai colori sgargianti, prodotti elettronici, profumi più costosi che in Italia, cravatte assai eccentriche targate Missoni. Queste ultime, incredibilmente, incontrano il favore di Sergio che tuttavia risponde con un sorriso allo sguardo interrogativo della commessa che, dopo aver annunciato il prezzo dell’accessorio, non inferiore a 104 dollari, aspetta un suo cenno di assenso per procedere all’incasso. Non se ne parla proprio e non ci resta dunque che sedere sulle poltroncine in attesa dell’imbarco.
L’aereo giunge puntuale a Gimpo, aeroporto domestico di Seoul. Alle 9.20 siamo ai nastri dei bagagli, alle 9.30 usciamo fuori e alle 9.40 parte lo shuttle bus per Incheon, l’aeroporto internazionale. Tanta efficienza non si era mai vista. E ad essa si deve ad un tempo la nostra successiva avventura, nonché la fortuna che l’ha accompagnata.
Tutto si basa sulla convinzione che a Incheon avremmo dovuto trascorrere un’era geologica. Giunti lì alle 10.30, avevamo ben due ore e mezzo prima del successivo volo per Monaco. Decidiamo dunque di girare un po’ in aeroporto, consumiamo un caffè, ci facciamo tentare dalla “korean experience” riservata solo agli stranieri. Su quest’ultima glissiamo perché si tratta in fondo di costruire una scatoletta al ritmo di un suono che stenta a diventar musica, nonostante la suonatrice sia lì in carne ed ossa e cerchi pure di fare del suo meglio. Vista una presa elettrica, ci sediamo a terra per carica il pc e al tempo stesso finire la scrittura del post di ieri. Mentre butto giù le ultime frasi, Sergio prende sonno e io decido di svegliarlo solo un quarto d’ora prima dell’imbarco: tanto nel punto in cui siamo c’è una connessione wireless che funziona perfettamente ed inserire il post non dovrebbe essere un problema.
Sergio legge l’elaborato, si connette alla Rete e invia lo scritto al blog. Poi con calma ci avviamo verso il nostro gate numero 126. Siamo appena al 30! Presi dal panico acceleriamo il passo e ci facciamo strada sui tapis roulants a colpi di spinte abbastanza educate, date le circostanze. Poi un inquietante cartello arancio associa i gate superiori al 100 con l’immagine di un treno. Io non capisco ma Sergio sì: c’è da prendere un trenino di collegamento per arrivare al nostro imbarco e siamo in ritardo pazzesco. Confidiamo su quelle chiamate strappalacrime dell’ultimo minuto, tipo “last call for passengers Fiorenza and Iadanza” ma nulla di tutto ciò si verifica.
Al binario il treno è pronto alla partenza proprio nel momento in cui arriviamo. Nella concitazione studiamo il percorso da fare una volta giunti al terminal giusto. Bisogna girare a destra e imboccare il gate 126 a metà strada. Però appena scesi ci sono ben tre rampe di scale mobili da percorrere e l’età non è più quella di una volta. All’affanno si aggiunge lo sconforto generato dalla prospettiva di rimanere ostaggio a Seoul a tempo indeterminato. Il gate 126 tra l’altro non è affatto metà strada. Ci sono almeno altri 4 tapis roulants da percorrere. Io faccio da apripista ma ormai sembra che tutto sia perduto. Poi, dagli abissi di un incubo che credo non ci lascerà tanto facilmente, intravediamo la coda dei passeggeri dell’aereo intercontinentale. Tiriamo un sospiro di sollievo e ci ricomponiamo, quasi a dire “siamo sempre stai qui, non aspettavamo altro che imbarcarci”. La finta però no riesce molto perché sull’aeromobile non funziona l’aria condizionata ed io trascorro tutto il tempo prima del decollo a sventolarmi con l’inutile cartoncino contenente le misure da adottare in caso di emergenza.
Durante le 11 ore di volo per Monaco, Sergio approfitta per schiacciare più di un pisolino. Io provo a dormire un po’, ma non ci riesco, né mi fa compagnia la musica classica che seleziono nel mio auricolare per conciliare il sonno. Così mi dedico alla lettura ed alla visione di un film. Il tempo trascorre abbastanza in fretta, tra uno slavo sinistro che effettua riprese a tutto campo e le hostess che non cessano di servirci da mangiare. Si inizia con un aperitivo a suon di mandorle tostate. Poi viene il pranzo, per il quale entrambi glissiamo l’opzione tipica coreana perché Sergio l’ha provata con poca soddisfazione all’andata. Dopo qualche ora c’è lo snack, un panino al formaggio e prima dell’atterraggio viene servita la cena. Anche qui, da buoni italiani, evitiamo di mangiare il nostro cibo cucinato dagli altri, sicché non prendiamo nemmeno in considerazione l’opzione “Linguini pasta with tomato sauce” e scegliamo la cotoletta di maiale in salsa di curry.
Poi impieghiamo la parte finale del viaggio nel guardare un film grottesco. La trama ruota attorno ad una famigliola composta da madre (abbandona dal marito), due figli maschi e una femmina, che si trovano a vivere nella casa ereditata dal un prozio. Uomo dalla mille virtù, costui ha scoperto l’esistenza di creaure magiche o ovviamente non ha troato meglio da fare che inserire in un libro tutta la sua conoscenza. Sicché non poteva mancare la solita solfa dell’orco cattivo che tenta di impadronirsi di tutto. La famigliola è al riparo solo in casa, all’interno di un cerchio formato da funghi velenosi e da una strana pozione. Il seguito è un intrugli di goblin sconfitti a suon di salsa al pomodoro, folletti magici che si trasformano in creature cattive, grifoni salvatutti e creature incantate più immaginate che inquadrate. Sul più bello – si fa per dire! – la pellicola s interrompe ed il fil riparte daccapo sicché per scoprire il finale bisogna sorbirselo tutto di nuovo. L’avventura termina con l’orco che si impadronisce del libro m vien inghiottito da una creatura della foresta. Niente di più disarmante.
Così scendiamo a Monaco e andiamo alla vaga ricerca di alcuni shop proficuamente vistati all’andata. Non riuscendo a trovarli, ci rassegniamo a bere un specie di limonata e a leggere giornali italiani. Verifichiamo il gate di partenza perché l’esperienza insegna e poi saliamo a bordo. L’aereo accumula 35 minuti di ritardo alla partenza ma poi recupera in volo sicché l’arrivo a Napoli è puntuale. Debbie ci accoglie nella sua supercar, Riccardo dorme sul sedile posteriore. Giunti a casa ci godiamo una spaghettino al pomodoro, giusto perché non abbiamo mangiato abbastanza, e poi Sergio non può fare a meno di mostrare tutti i regali ed i gadget incastrati nella valigia e nel porta-abito. I commenti di Deborah non sono riferibili.
Del resto, non tutto è narrabile. E queste cronache non rappresentano che il sunto di una esperienza. Hasta pronto!
18 lug 2008
presidenza e vicepresidenza del World Scout Commitee
L’occasione è gradita per scambiarsi le esperienze della sera prima. Raccontiamo entusiasti della nostra sauna e lei sviscera i dettagli del loro tour nell’isola, tra un villaggio finto e la scalata del vulcano effettuata con temperature caraibiche. Non può mancare lo sgomento per la serata a Jeju, da noi scientemente glissata. Nelle parole di Letizia, confermate poco più tardi da Luca, la città è un agglomerato informe di viuzze prive del fascino dei nostri paesi montani. Per di più, l’aria è gonfia di odori tutt’altro che piacevoli e l’assetto urbanistico della località non sembra aver indotto il progettista a concepire una piazza, con qualche caffè intorno e magari un tavolino. La questione è doppiamente disarmante, ove si consideri che il programma della conferenza espressamente prevedeva che i partecipanti provvedessero autonomamente alla cena. La nostra delegazione se la cava all’italiana: segue dei malesi, certo più edotti di noi sui costumi locali, e si fionda in un ristorantino niente male. Intendiamoci: tutto spezie, cremine e aglio, ma con pietanze tutto sommato mangiabili. Almeno stando ai racconti di Letizia.
La consueta riunione mattutina di delegazione si apre all’insegna della sconfitta annunciata. Il rapido giro di tavolo consacra i simpaticissimi singaporesi come i nostri preferiti per ospitare il XXIII Jamboree mondiale. Dall’altra parte c’è il Giappone, con cui l’Italia ha rapporti solidi ma che, tra le altre cose, ha già ospitato un Jamboree – con tanto di alluvione – nel 1971. Tutti d’accordo, dunque. Il voto sarà chiaro, ad onta del fatto che la delegazione giapponese siede in conferenza proprio accanto a noi.
Giunti nella sala che ospita i lavori, sono proprio i nipponici a cominciare per primi. Con formalissimo fair play, era stato il presidente della conferenza, Philippe, a sorteggiare il giorno prima quale dei due Paesi avrebbe avuto l’onere di rompere il ghiaccio. La presentazione è scandita dalle solite slide in power-point, dalle parole del direttore del progetto e dalla corsa forsennata di scout di tutte le età che brandiscono in modo un po’ minaccioso degli aerei gonfiabili, a testimoniare, platealmente, il contributo che le aviolinee daranno all’evento. Il che riporta alla mia mente l’incubo del Thai-box, la vaschetta di cibo che al Jamboree in Tailandia eravamo costretti a consumare a pranzo. Offerta dalla Thai Airlines, conteneva versioni demodé dei nostri rustici, succhi di frutta salati imbevibili e vomitevoli, nonché pollo in gelatina e patate fritte nella scorsa era geologica. In teoria, il cibo si sarebbe potuto riscaldare nei forni appositamente allestiti nei supermercati Jam, in cui la temperatura era di almeno 25 gradi inferiore a quella esterna. Ma la loro localizzazione era talmente lontana dai luoghi d’attività che non c’era altra scelta: trangugiare il cibo cercando di masticare il meno possibile. La situazione indusse i più a fingersi vegetariani in quanto il pasto a questi ultimi destinato era assai migliore di quello servito agli altri.
I ricordi vengono interrotti dall’applauso finale che fa da anticamera a Singapore. La presentazione glissa sul sito del campo e si concentra su un Paese che è incrocio di almeno tre diverse culture. Poi parte un video in cui protagonista è Russell, bimbo di sei anni che viene indotto dal nonno a diventare scout e sogna di ospitare il Jamboree. Quando, fermato il nastro della proiezione, le luci tornano a inondare il palco, Russell è lì, in carne ed ossa, e strappa a tutti applausi e tenerezza. Il direttore del Jamboree fa il suo intervento, seguito da un coinvolgente ballo al ritmo dei tamburi e accompagnato dalle sinuose movenze di un drago dagli occhi teneri e enormi.
La chiamata all’urna ripete in stile un po’ più misurato la parata del giorno prima. La delegata albanese ha sfoggiato per l’occasione una maglietta attillata che premia il suo giovane viso e la sua corporatura esile. La kazaka anche stavolta ha indossato un sandaletto da mare e una mise eccentrica: pantalone verde e maglia bianca traforata. L’Australia manda a votare la sua delegata più giovane, che sorride per l’emozione, mentre il Kiribati, ameno Paese membro di Wosm, compie anche stavolta il suo dovere con eleganza. Un po’ come il nostro Roberto, sempre nei ranghi.
L’esito della votazione è annunciato alle 11.15. Con oltre 500 voti a fronte dei 364 raccolti da Singapore, il Giappone si aggiudica il Jamboree 2015. Questa volta la doccia fredda non arriva. Ci siamo spostati da sotto la finestra della signora infingarda. Ma serpeggia la convinzione che per ottenere qualcosa l’Italia debba votare in maniera opposta a ciò che pensa. Tanto vincono sempre gli altri. Ad ogni modo, ci congratuliamo coi nipponici, nostri vicini di casa ed esprimiamo il nostro rincrescimento a Singapore che, pur con i nostri 6 voti, non ha raggiunto l’esito sperato. Chissà come faranno a dirlo a Russell…
Il risultato del voto trasforma i nostri simpatici amici in un’efficiente macchina da guerra. Lo stand del Jamboree viene smontato: via tutti i gadget, i cartelloni, i distintivi e qualsiasi riferimento alla sconfitta subita. Gli stessi sinagoperesi sembrano dileguarsi, inghiottiti negli autobus o negli hotel, comunque lontani da un conferenza ostile. In realtà, a pranzo avremmo scoperto come siano pronti a sostenere il Giappone e abbiano tutto sommato accettato la dura sconfitta.
La seconda sessione mattutina se ne va tra lancio del Moot del 2010 in Kenya, riassunto del Jamboree 2007 in Inghilterra, presentazione della conferenza in Brasile nel 2011 e così via. Il ritmo è scandito solo dalla cerimonia del Lupo di bronzo che a mio avviso dovrebbe andare honoris causa a chiunque assuma la decisione masochistica di dirigere un Jamboree. Sicché quello consegnato a Bill (?), l’inglese che ha gestito il Jam del centenario, è meritato. Come lo sono gli altri, almeno a sentire le motivazioni.
La cerimonia di consegna dei regali all’Host Committee viene annullata sicché il nostro dono, opportunamente adagiato sul tavolo, resta intonso. Se ne parla domani. Peccato. Ci eravamo tutti vestiti a festa per l’occasione. Meno male che c’è stata la consegna del Bronze Wolf…
A pranzo non abbiamo tanta fame. Ci concediamo solo un po’ di frutta. E una chiacchierata con Brigitte, unico esemplare di scout donna nei Boy Scouts of America. Ci spiega che solo fino a 14 anni i BSA accettano esclusivamente maschi. Nei venturers c’è un progetto aperto alle donne che poi possono anche divenire Capi. Ma di contare qualcosa non se ne parla. Gli “alti funzionari dello scautsimo”, come li chiama lei in perfetto italiano, visto che è spostata ad un valdostano, sono tutti uomini e perlopiù ricchi. Ma le cose cambieranno, ne è quasi certa. Forse quando anche le Girl Scouts of America si decideranno ad accettare uomini nella loro associazione.
Il pomeriggio vola via tra numerosi incontri e workshop. Ritiriamo un kit sulla membership, cerchiamo di capire come fare, domani, ad arrivare all’aeroporto, partecipiamo ad un incontro con le associazioni laiche e pluraliste, ad un summit del gruppo di Lisbona per le risoluzioni da votare l’ultimo giorno e facciamo pure una verifica associativa. Il tutto condito da un vis-à-vis col nostro membro di contatto della Regione Europa, il finlandese Henrik.
Poi ci prende l’angoscia delle valigie da preparare e fuggiamo in hotel in taxi, per la modica cifra di 2.300 won, circa 1 euro e 50. Giunti in stanza non resistiamo alla tentazione di un’altra sauna. Essendo diventati più esperti ci concediamo anche il lusso di un balsamo all’henné per i capelli e non paghi del nostro narcisismo, svuotiamo litri di crema tonificante sul nostro corpo statuario. Indi saliamo in stanza.
Dopo una lunga valutazione sul da farsi, optiamo per cenare in camera, con un modico club sandwich al costo di 18.000 won. Quando il cameriere arriva, il carrello portavivande è una ridda di vettovaglie. Due bicchieri d’acqua riflettono le posate argentate che lambiscono un candido piatto adorno di ben 8 tramezzini impilati e oblunghe patate fritte ricoperte di paprica. A lato una vaschetta ospita il ketchup ed un’altra degli ortaggi che solo Sergio ha il coraggio di assaggiare. Il pasto è ben più ricco delle nostre aspettative. A saperlo prima avremmo forse evitato il ristorante coreano e quello giapponese. Cui comunque è valsa la pena andare.
È solo sul far della sera che si consuma lo scioccante rito del packaging. Io me la cavo senza troppo patire: ho evitato di accumulare gadget a monte e ficco tutto in un ordine grosso modo accettabile. Sergio pianifica invece la sua strategia. Con fare inizialmente composto, comincia a riordinare gli abiti e selezionare cosa portare in Italia e cosa invece lasciare in Korea. Poi, ad onta dell’aria condizionata, la temperatura sale e lui leva via la maglietta. Si dà da fare con le scatole dei regali che ha comprato. Getta sul letto, prima cauto e poi stizzito, tutto ciò che avvolge gli asciugamani wosm. Mentre il sudore gli cola dalla fronte, fa fuori anche tutti i pacchettini che contengono i ferma foulard, i gemelli in finto oro, l’elegante cinta nera che ha comprato in vista di chissà quale reception futura. (A proposito, anche qui in Korea si è portato l’abito da sera. Ma non l’ha usato. Sicché esso è stato solo un inutile ingombro. Prima in aereo e poi sulla gruccia del guardaroba in hotel).
L’operazione non sortisce l’effetto sperato e Sergio si rammarica che la fisica non abbia ancora inventato la compenetrazione dei corpi. Il monte Tabor, formato dai suoi panni misti ai cadeaux, svetta sulla calma piatta del lago di Tiberiade che è la sua valigia. Non riuscendo a chiudere il trolley, il capo scout passa al piano B. Apre le tasca del porta-abito che avvolge il suo tuxedo e lo riempie , senza ritegno, di ogni bene materiale, ivi compreso uno zainetto, un ombrello ed una tazza bis della conferenza: il suo kit non gli bastava, sicché ha pensato bene di prenderne un altro. Divide opportunamente i panni sporchi in varie sacche. Gonfia lo zaino del bagaglio a mano con ogni cosa visibile e invisibile. Dunque si dà, col mio apporto insostituibile J, alla penosa opera di chiusura della valigia, realizzata solo grazie alle sue pressioni sulla tela ed ai miei esercizi di tira e molla con la zip. Soddisfatto, benché esausto, per l’operazione, Sergio realizza che mancano all’appello il suo beauty e la sacca delle medicine. Ma nella hall ci attende la riunione di delegazione.
Alle 22, dopo aver scoperto che in conferenza gli altri hanno assistito ad un meraviglioso spettacolo pirotecnico, analizziamo tutti insieme le risoluzioni da votare l’indomani. La discussione procede rapida e lontana dalla mente di Sergio, ormai vinta dall’abbraccio di Morfeo. Roberto se ne accorge anche se il capo scout fa finta di seguire tutto con attenzione. Si risveglia solo per il momento della foto quando la coreana da noi chiamata a scattare le istantanee procede spedita con le macchine digitali ma indugia circospetta con quella tradizionale, la cosiddetta “old car” (letteralmente, macchina vecchia). Non sa bene dove e come guardare. Prima la allontana, poi la avvicina. Infine scatta alla meno peggio. E sorride, soddisfatta di sé.
La serata si conclude con un brindisi insieme. Poi salutiamo chi resta. E saliamo in stanza. Domani ci aspetta il lungo viaggio di ritorno. A proposito. Il beauty e la sacca dei medicinali sono finiti nella mia valigia, insieme alla macchinetta del caffè!
17 lug 2008
giornata di ELEZIONI alla W S Conference
Sergio si fionda in bagno. Questione lunga. Ne approfitto per indugiare un po’ nel letto, ma alle 8.00 abbiamo riunione di delegazione e non possiamo permetterci di fare tardi: stamani in conferenza si votano i delegati ed è chiaramente un momento importante. Sicché mi alzo e comincio a preparare lo zaino, sempre ingombro di inutilierie varie: regali delle delegazioni, souvenir dal dubbio gusto, spille scout ultimo grido che finiranno in un cassetto e gadget sospesi tra l’eccentrico e il bizzarro.
Poi il bagno si libera, finisco di prepararmi e usciamo., ma siamo in ritardo sulla tabella di marcia di circa 10 minuti. Giunti all’ascensore, Sergio ricorda di avere dimenticato il foulard ed al ritardo si accumulano ulteriore cinque minuti: con tutta probabilità, dovremo rinunciare alle uova strapazzate perché non ci sarà il tempo di consumare la solita, iperbolica colazione.
Invece quando entriamo in sala da pranzo ci sono solo Babacar e Luca sicché possiamo agguantare con avidità i piatti e riempirli a dismisura. Sergio non manca di variare il suo comune menu mattutino e aggiunge ad un bacon sempre saporito e bruciacchiato, le uova strappazzate affogate nella mostarda, puntellate di peperoncino e sposate con due wurstel che hanno tutta l’aria di sentirsi a disagio. Accanto a questo, non mancano ovviamente dolcetti, pane, succo d’arancia e quella strana bevanda marrone che si ostinano qui a chiamare caffè.
Poi si sale, verso le poltrone che ogni mattina accolgono le nostre riunioni di delegazione. Sembra un po’ di essere alle Nazioni Unite, quando gli Stati mettono a punto le proprie strategie per massimizzare il risultato della propria azione diplomatica. Compaiono innumerevoli fogli vergati da penne di colore diverso, si ipotizza la geografia del Comitato mondiale da eleggere, si fanno calcoli – a volte anche complessi – sul numero di voti da esprimere, sulle geometrie variabili della conferenza, sui quorum per essere eletti o restare a mani vuote. Lo scambio è in parte vivace, com’è giusto che sia in questi casi. L’autobus per la conferenza costituisce un pungolo a chiudere le cartine geografiche del voto, la mappe degli scenari possibili. L’Italia sosterrà sei candidati, Un colpo al cerchio e uno alla botte. Non a caso Molotov ebbe a dire che la nostra è una nazione troppo debole per poter fare da sola ma troppo forte per essere ignorata negli scenari internazionali.
Alla meditazione che fa da anticamera alla sessione di voto ci sono solo io, gli altri persi nei passaggi segreti fitti di scale mobili e trappole informative del diafano International Convention center di Jeju. Poi il presidente apre la sessione di voto e uno alla volta i Paesi candidati vanno a riporre il proprio foglietto verde nell’urna. Non mancano scena ad un tempo ilari e significative.
Alcune delegazioni consegnano il proprio foglio aperto, a testimonianza di come la pratica del voto segreto, un po’ dietrologico, appartenga poco alla loro cultura. Vuoi perché spesso le cose funzionano più spontaneamente, vuoi perché la democrazia è esercizio in molti casi ancora assai lontano dalla realtà viva e concreta. Molti si fermano per farsi immortale davanti all’urna trasparente, creando più di qualche intralcio nella coda e spingendo lo speaker anglofono a guardare rassegnato, in qualche caso ad alzare le spalle. La delegata kazaka per l’occasione ha sfoggiato un vestitino a fiori niente male, della serie “c’è un grande prato verde dove nascono speranze”. Il delegato di una nazione europea non ha rinunciato al sandalo sotto il jeans nemmeno in questa circostanza: questione marginale, si dirà. Ma è pur vero che “solo i superficiali non giudicano dall’apparenza”, rammentava Oscar Wilde. Anche Roberto si fa immortalare al momento del voto, mentre dietro i seggi delle delegazioni i candidati aspettano trepidanti. Alla fine qualcuno alza il suo cartellino verde: non è stato chiamato o – più probabilmente – non si è alzato al momento giusto. Lo speaker invita senza parlare a gettare il foglio nel calderone e chi si è visto si è visto.
Poi i canadesi presentano il Rovermoot 2013. Non ci sono candidati alternativi sicché si rinuncia al volto segreto e la location dell’evento è fissata senza difficoltà, con nessun voto contrario e un’astensione. Ora, cosa ci sia da astenersi su questo punto resta arduo da capire. Ma fa scena poter alzare in solitudine il cartellino rosso, con la telecamera che ti inquadra sui maxischermi messi a punto dall’efficiente comitato organizzatore coreano. Dona quel tocco di notorietà e di eleganza da sempre estranea al più comprensibili voto favorevole o contrario. Anch’io un giorno sogno di alzare un cartellino di astensione di fronte ad una platea così distinta e numerosa e poi spiegare che ci sono delle “irrinunciabili ragioni per cui la nostra delegazione ha ritenuto opportuno sospendere il giudizio su questo provvedimento e lasciare che l’assemblea deliberasse in coscienza”, con quel linguaggio diplomatico che è sempre così chic. Charmant.
Prima dei workshop arriva il coffee break in cui incontriamo il capo delegazione della Libia e cerchiamo pure di dargli un regalo opportunamente portato da Babacar. Ma il nostro commissario internazionale nel momento topico scompare e Sergio resta lì a stringere la mano del libico nella speranza che io riesca a trovare una soluzione alternativa che non giunge. Sarà per un’altra volta.
Prima dei laboratori, Sergio chiede a tutti di scrivere cinque righe come report della sessione seguita. Va da sé che a mezzogiorno, a lavori ultimati, perviene solo il mio foglio e manca all’appello, tra gli altri, proprio il suo. Ma lui è contento di aver portato un altro manualetto che si aggiunge alle quattro buste di gadget che ingombrano la sua ala della camera, in bilico sul valigione gonfio di abiti e medicinali, a ridosso dei tre zainetti in uso (quello italiano, quello della conferenza, e quello regalatogli da Singapore), e sotto la sacca della Laundry di cui non ha alcuna intenzione di servirsi. Tant’è, nella vita ognuno è fatto a modo suo.
Poi arriva il momento dell’annuncio degli eletti. Siamo tutti lì a scrivere, nella speranza che i piani strategici elaborati al mattino risultino vincenti. Qualcuno caccia di nuovo le mappe geografiche e le cartine puntellate a mo’ di Risiko. L’annuncio dei voti è una doccia fredda. Anzi ghiacciata. Anzi diciamo che ha il sapore della secchiata d’acqua che ti getta la vecchia infingarda quanto un minuto dopo la mezzanotte indugi ancora a parlare sotto la sua finestra, chiusa da quando Lilly Gruber ha smesso di leggere il TG1 e ha deciso di candidarsi al parlamento europeo. Per carità, quattro dei delegati che abbiamo votato risultano eletti. Alexandro, il quinto, nazionalità greca, non ce la fa. E purtroppo resta al palo anche Gregory Sanchez, belga, da noi appoggiato in pratica dalla prima ora, nella certezza che avrebbe varcato le porte di Ginevra. Invece non sarà così. Le cartine spariscono, qualcuno asserisce di non averle nemmeno mai viste. Lo sgomento non manca, ma è l’ironia quella che domina. Questi italiani, sempre troppo idealisti, capaci di avere successo all’ONU con la moratoria internazionale sulla pena di morte e incapaci di leggere nella sfera di cristallo di Wosm.
Nell’andare a pranzo, Sergio offre ulteriore prova della sua tendenza allo shopping compulsivo e acritico. Raggiante perché sono arrivate le polo ricamate, assai migliori delle magliette col logo appiccicato a mo’ di adesivo, il nostro capo scout si fionda allo stand dello scout shop. Apprende sgomento che gli devo 10.000 won per un disguido occorso nel suo ultimo shopping e che sarebbe qui troppo lungo spiegare. E forte del suo credito, corrispondente a ben 6 euro, dà mandato alla shop assistant di riempire una busta con polo fucsia sgargiante e verde fosforescente che qualcuno apprezzerà con lo stesso piglio educato di chi, ricevendo un regalo che già ha, non ha il cuore di dire al donatore la verità e mente entusiasta dicendo “è proprio ciò che mi serviva”. E ai campi una polo in più serve sempre, soprattutto quando ce l’hai solo tu e puoi sfoggiarla come medaglia al valor civile.
A pranzo Sergio si fa prendere dall’abbiocco: vuole rinunciare alla visita a Jeju, prevista dal programma della conferenza, per andare a rilassarsi in hotel. Babacar gli fa da sponda. Luca asserisce di voler andare in spiaggia. Messo all’angolo, reagisco e, con molta più realpolitik di quella sperimentate per le elezioni, propongo di andare a Jeju ma di saltare la serata in città. Sergio e Babacar accettano mentre Luca si perde da qualche parte.
Appena scesi dal pullman, ci troviamo di fronte un giardino botanico immerso in una coltre di calore tropicale, talmente asfissiante che cedo a Sergio il primo punto della battaglia Jeju\hotel. Uno a zero per lui: al momento non sembra proprio che sia valsa la pena venire. Poi l’agronomo che è in lui si sveglia, e il capo scout comincia scattare foto con piglio giapponese kentie, cicas, cactus e fiori dai nomi impronunciabili e tutto sommato inutili da ricordare. Il punteggio sale dunque sull’uno a uno. Ma poi la stanza dedicata ai fiori è da Sergio definita un’accozzaglia inutile, che vanifica la magia del giardino tropicale, della giungla e dell’habitat dei cactus, sicché si va sul 2 a 1 per lui. Per riscattarmi propongo di salire in cima all’edificio con l’ascensore per ammirare l’isola di Jeju, il che mi permette di strappare un pareggio che sarà poi confermato alla fine del pomeriggio, trascorso con alterne vicende tra viali di bonsai, negozi di souvenir del tutto improbabili, cascate d’acqua tutto sommato gradevoli e la ricostruzione di un villaggio antico dal’aria un po’ artefatta ma nel complesso carino.
Al rientro in hotel Sergio riesce a realizzare uno dei suoi principali obiettivi, alla faccia della conferenza ed in barba alla strategia del lutto che avrebbe dovuto caratterizzare la giornata italiana dopo la secchiata d’acqua delle votazioni. In altre parole, andiamo a fare la sauna. Tra bagno turco, tepidarium, frigidarium, sauna finnica, vasca d’acqua calda, docce a getto continuo e sauna a infrarossi, trascorriamo una serata piacevolissima, vagamente tinta di rosa solo da un simpatico coreano 50enne che ci prova con me con molto tatto e signorilità. Mi dice che sono bello, che gli piacciono gli italiani, che ama la nostra cucina e così via. Ma va via a mani vuote: starà qui solo altri due giorni ed è venuto da solo. Buona fortuna.
Il bagno in piscina che segue la sauna non è altrettanto piacevole. L’acqua è alta al più 1,2 metri e i bagnanti non manco di far galleggiare tavolette, braccioli, ciambelle e perfino un’automobile gonfiabile dalla dubbia utilità. Decidiamo dunque di salire in stanza e Sergio, dimentico delle avances del coreano, mi lascia da solo nello spogliatoio, senza che tuttavia si verifichino altre indecent proposals.
A cena optiamo per il ristorante coreano dove mangiamo di tutto di più in compagnia di Babacar, reduce da una nuotata nel Pacifico (gli avevamo dato appuntamento in piscina, ma ci eravamo dimenticati di lui per via della sauna e del coreano). Le pietanze sono di tutto rispetto, c’è anche un caciucco locale. Il conto non è altrettanto piacevole, ma c’è poco da fare. Bisognava pur tirarsi su dopo una giornata come questa.
Indi eccoci qui in hotel, dopo un caffè all’italiana uscito fumante dalla macchinetta elettrica che Sergio aveva portato per il festival internazionale e che chiaramente in quella circostanza non abbiamo potuto usare perché non c’era la corrente. E perché l’avevamo lasciata in hotel. Si parla un po’ in video chat su skype e poi tutti pronti per il blog. Unica magra consolazione al fallimento della nostra strategia.
Historia magistra vitae, gente. Non abbiamo sbagliato, non fatelo anche voi. O, in alternativa, apritevi un blog per sfogare le delusioni. Non prima di una bella sauna.
16 lug 2008
Giornata iniziata alle 6:30, come al solito. Riunione di federazione alle 8, poi al centro ICC alle 9.
Abbiamo inziato con votazioni sul pagamento delle quote, ma Roberto non trovava più la paletta rossa per votare…. Situazione tragicomica… dalle risate e dall’imbarazzo, sostituiamo all’ultimo secondo la paletta rossa con un ventaglio coreano rosso… e mentre vota, lo scrutatore se ne accorge e… no dice nulla, lui è un sud americano e capisce l’arte di arrangiarsi…noi a ridere con le lacrime agli occhi…la foto è proprio del momento in cui roberto cerca di giustificarsi con lo scrutatore…perdonate se è mossa, ma ne valeva la pena pubblicarla! Dopo si continua con una plenaria sulla governance e poi ci siamo divisi in gruppi di lavoro. Sono capitato in un gruppo con messicano, canada, brasile, Paraguay, Libia, cina, singapore, taiwan…ho insistito sulla democrazia e son riuscito a convincere un po’ di persone che la democrazia è metodo: rispetto, tolleranza, mediazione, tenacia.
Dai gruppi alla plenaria, con i report per ogni settore. Sembra ci sia una nuova pubblicazione fresca fresca che ci dica come crescere adottando una strategia per lo sviluppo. Da prendere e verificare.
Belli gli spot che Mario Diaz del WSC’tèe ha realizzato con Richard Amalvy. Parte dal Valore (ambiente, solidarietà, pace, ecc) immagini che descrivono il valore, poi un passaggio scritto 28 milioni di scout sono pronti a impegnarsi per … (e qui la frase cambia a seconda del valore: sostenere la pace e svilupparla; per difendere l’ambiente e migliorarlo, ecc.). Frasi semplici ma che richiamano una massa di persone che fanno gruppo, famiglia, identità; un impegno nell’azione di tutti insieme che si muovono all’unisono e lafrase finale ad effetto… “E TU, SEI PREPARATO?”, frase che stimola il giovane che vede lo spot ad aderire per convinzione, per appartenenza, per l’adesione al valore. Bello, veramente bello.
Ancora il Programma educativo, il programma del Rinnoceronte (serie di attivtà svolte nei diversi paesi, niente di nuovo).
Poi inizia "la danza"(cioè si comincia a ballare sul serio) della preparazione alla sessione della Selected Committee. E’ una commissione speciale, 1 per paese, che decide parola per parola tutti i cambiamenti che devono essere apportati alla costituzione. Un po’ il lavoro che abbiamo fatto nell’ultima assemblea nazionale con lo statuto di sezione, ma solo che il Selected committèe predigerisce e poi presenta alla plenaria, domani, il risultato. La plenaria voterà articolo per articolo ma senza poter discutere, mentre nella selected committèe si è discusso AMPIAMENTE.
La sessione inizia ed io rappresento l’Italia. E’ stato un brivido che mi ha imbarazzato pensare che rappresentavo 200.000 scout italiani…. E stavo lavorando nell’interesse di 28.000.000 di scout. Solo poco più di 100 paesi… solo cento voti. Ed io ero là.
Per il processo decisionale con cui siamo arrivati a dire che sarei dovuto essere io a rappresentare l’Italia e per tutte le scelte compiute finora, ma proprio tutte, sono molto orgoglioso per come stanno andando le cose: la delegazione FIS è veramente unita, che sa fare scelte insieme.
Inizia il dibattito ed io cerco di non rubare tempo. Ma mi riservo di fare un intervento, singolo ma cercando di andare al nocciolo del problema: non vorrei che la Fondazione sieda di diritto nel Comitato Mondiale così come proposto. Faccio l’intervento cercando di spiegare che non è il caso che ci siano al tavolo seduti rappresentanti di categorie: solo chi deve aiutare il comitato mondiale a svolgere meglio il suo compito. Quindi il Segretario Generale (senza diritto di voto, e deve rimanere perché deve essere persuaso della bontà della scelta, visto che per 365 giorni lui lavora attivamente ed il Comitato invece si riunisce solo 2 volte all’anno) ed il tesoriere. Ma che c’entra la Fondazione? Mi sa tanto che potrebbe essere elemento di pressione anzichè di aiuto. 68 voti a favore dell’emendamento presentato dal Comitato e 38 contro…38 voti non sono tanti e differenti sicuramente dai numeri molto più bassi di votazioni granitiche. Peccato, ma la mia idea non è passata. la cosa simpatica è che, non avendo ancora trovato la paletta rossa, con grande dignità voto con il segnaposto dell'italia....da morire dal ridere se non fossi stato preso dalla vergogna...
Nel frattempo Babacar, Mariano, Luca hanno fatto un contatto particolareggiato ed attentissimo, puntuale con tantissimi paesi che potrebbero essere coinvolti nel progetto del mediterraneo. Questo ci ha aiutato anche nel coinvolgere paesi nel firmare la nostra risoluzione che presenteremo giovedì. Spero domani di presentarvela. Ancora non è definitiva perché all’ultimo secondo potrebbe essere limata per ampliare il consenso e trovare mediazioni ultime.
Il lavoro del Selected Committèe continua fino alle 23, mentre fuori si sta svolgendo la serata internazionale. Non mangio molto solo un po’ di frutta ed un po’ di salmone affumicato. Non mi va nient’altro: come sono lontane le passeggiate tra i tavolini della serata internazionale a portoroz, con monia, lara barbara e gli altri… le risate, il vino, i voti per paolo….qui si corre e si deve restare concentrati. Appena puoi, contatti altri per convergere o far convergere consensi.
E che c’entra il CNGEI? Se il movimento va da una parte o dall’altra, i nostri ragazzi ne subiranno le conseguenze tra dieci anni, ma ne subiranno le conseguenze. Perché sarà l’impornta che verrà dato al movimento qui che influirà sui valori che verranno promossi nei prossimi 10-15 anni.
Sono quasi le 3…vado a letto.
15 lug 2008
wosm conference: lunedì 14 luglio report
Sveglia alle 6,30. Solo alle 6:50 riesco a mettere però i piedi giù dal letto. Mariano poco prima. Alle 7:30 siamo già nel ristorante a fare colazione. Appuntamento alle 8 con tutti gli italiani per fare il punto della situazione e stabilire la tattica per la giornata. Il primo obiettivo: riuscire a fare un discorso a nome dei diversi paesi del Gruppo di Lisbona. Estenuanti mediazioni ci portano però in un vicolo che non sbocca su un autostrada: le affermazioni di denuncia e di rilancio della democrazia nel movimento vengono prima edulcorare, poi limate, poi cambiate fino a rendere la dichiarazione molto soft. Viene letta dai finlandesi, coinvolti all’ultimo secondo dai francesi. Non siamo particolarmente soddisfatti del risultato, né tantomeno i Catalani. Anzi, questi ultimi hanno trovato il coraggio di osare, andando non più in combinazione con gli altri ma in completo isolamento, puntando a dire e a chieder conto di chi ha la responsabilità della crisi wosm, come ha potuto farlo, perché lo ha fatto. Bravi i catalani, veramente bravi. Noi abbiamo cercato di mantenere unito il gruppo fino al punto di rinunciare all’accusa; loro hanno puntato dritto all’obiettivo.
La platea ha apprezzato l’intervento dei catalani.
Relazione del Chairman del World Scout Commitèe Phillippe Dacosta, del Facente funzioni del segretario generale Luc Panissod, del Tesoriere. Alcune meno belle, altre più efficaci. Ma sottotono, come se la crisi wosm non fosse nata dal problema dei pagamenti delle quote, la relazione del tesoriere non cita i problemi di cassa. Politically correct.
Ma la controreplica di Phillippe, però, chiarisce ai catalani responsabilità di alcuni “che non si sono comportati da scout”. Di più non dice, ma per noi finalmente è un riconoscimento.
La proclamazione dell’ammissione di nuove NSOs che si aggiungono nell’elenco di WOSM: Montenegro, Serbia, Russia, per citarne alcune… molto emozionante la cerimonia.
Nel pomeriggio, incontro con i candidati al WS Committee: alcune risposte che i candidati hanno dato sono risultate infelici. Le teniamo per noi e le condivideremo quando, domani di federazione, dovremo decidere a chi votare.
Cerimonia di apertura: l’intervento del primo ministro e danze tipiche coronano una coreografia tecno. Nulla di entusiasmante.
A sera, riusciamo ad organizzare una riunione con alcuni paesi - a partire dal Gruppo di Lisbona per estendere l’invito anche ad altri - per discutere alcune risoluzioni che portogallo, spagna ed italia hanno redatto e sono pronte a lanciare. Hanno aderito tanti paesi (con l’aggiunta di Malta e Belgi non francofoni ma senza i francesi). Pensiamo che dobbiamo prepararci ed arrivare al Gruppo di Lisbona di domani a mezzodì più preparati, condividendo i passi da compiere con quante più associazioni è possibile. Babacar ed io ci impegniamo a coinvolgere altri paesi; babacar conduce la riunione in maniera egregia. Tutti escono molto soddisfatti dall’incontro perché si è trovato un punto d’incontro su tutte e tre le risoluzioni da presentare, cosa veramente rara.
Si ritorna a piedi all’hotel, visto che abbiamo perso l’ultima navetta delle 22:05. Tre quarti d’ora di camminata con zaini in spalla di tutte le mercanzie che ci portiamo dietro per l’intera giornata più tutte le cianfrusaglie comprate durante le pause. Sudata megagalattica! Il clima da piena stagione dei monsoni fa dell’aria una cosa insopportabile, umidiccia, che fa sudare solo al respiro.
Si rientra in albergo e si fa riunione di federazione: commenti della giornata e considerazioni di opportunità sviluppate o non colte, errori commessi e come rimediare, successi raggiunti e come capitalizzarli.
Una bella delegazione, non c’è chedire, di una bella Federazione. Si gioca di squadra, qui…
A domani
14 lug 2008
conferenza WOSM: giornata di preparazione
Alle 14 siamo nella navetta che ci porta all’International Conference Center, dove si svolge la World Conference. Siamo in compagnia dei nostri carissimi cugini di AGESCI, appena arrivati e, senza passare per il via (come al monopoli! Senza passare dalle camere) sono venuti direttamente a registrarsi. Con 25 ore addosso di viaggio, sono veramente distrutti, come noi ieri.
Arriviamo al centro e ci fiondiamo nei lavori dei PRE WORKSHOP: riusciamo a partecipare a quello per l’ambiente e a quello per rover.
Nel primo caso si lancia il World Environmental Programme. È diviso in due parti: “Esplorare e Riflettere” la prima, ed “Agire” la seconda. Sono i due grandi steps del percorso. Ogni percorso ha 5 filoni: Aria ed Acqua Pura, Habitats Naturali, Rischi da Sostanze Pericolose, Comportamenti inquinanti (non so se traduco bene, ma mi sembra questo il senso), Catastrofi e reazioni ad esse. La seconda parte, quella di AGIRE; prevede un progetto ecologico locale che punta a sviluppare analisi dei punti precedenti (tutti o in parte) e dare risposte per tutte le fasce di età attraverso i punti del METODO SCOUT.
Le NSOs e le Associazioni Nazionali sono invitate ad aderire al Progetto. Il CNGEI, in qualche modo già lo fa attraverso la nostra attività nazionale dell’ACCOGLIENZA, attraverso il progetto “nemmenounagoccia”; il progetto COLLE ALTO potrebbe essere un esempio da portare alle altre associazioni mondiali di SCENE (Scout Centres of Excellence of Nature and Environment). Altri dettagli possono essere trovati in http://www.scout.org/en/about_scouting/the_youth_programme/environment.
Il progetto per fascia rover è invece denominato SCOUT OF THE WORLD AWARD. È per fascia di età 16-25 anni capaci di coinvolgere persone anche all’esterno dello scautismo per farle aderire alle proposte che il gruppo fa e, attraverso il coinvolgimento, far conoscere lo scautismo. Attraverso questa via dell’azione, tanti altri giovani potrebbero avvicinarsi al movimento.
3 temi fondamentali nella proposta che richiedono comprensione, competenza, conoscenza per la vita su un pianeta sempre più piccolo: PACE, AMBIENTE, SVILUPPO. Ma la cosa che più mi ha interessato è stato l’approccio con cui si è partiti: ci hanno fatto fare un giochino, chiedendo ad un delegato di altra nazione qual è il problema più importante da risolvere per la società del paese di provenienza. Dopo un po’ si è discusso sulle possibilità di soluzione dei problemi con suggerimenti di persone di paesi diversi dal proprio, stimolando così nuovi approcci al problema, nuove soluzioni, diversi punti di vista. Ma soprattutto, lo scautismo pronto a buttarsi per risolvere i problemi del proprio paese.
La mia riflessione su questa proposta: ma mi sembra molto vicina ancora una volta, alla proposta della nostra attività nazionale… se riusciamo a coinvolgere altre persone di altre associazioni del nostro territorio, altri singoli che vogliono fare attività che migliorino il mondo INSIEME A NOI, nelle nostre realtà locali, allora stiamo applicando il secondo anno dell’attività nazionale dell’ACCOGLIENZA. Pensateci un po’. Mi sembra proprio la stessa filosofia. Per maggiori info: http://www.scoutsoftheworld.net/.
Poi iniziano le riunioni…a cascata: ricevimento da singapore, che si candida per accogliere il prossimo Jamboree e che quindi offre la cena a tutte le delegazioni…si coglie l’occasione per incontrare gente, scambiarsi idee, prepararsi all’indomani, che già si prospetta difficile. L’argomento clou è la Governance, la Democrazia, i Diritti delle NSOs e come tutelarli. Poi ci siamo incontrati con il Gruppo di Lisbona, un network fatto da Portogallo, Spagna, Catalunia, Francia, Belgio, Lussemburgo, Svizzera, Italia (spero di non aver dimenticato nessuno): ciò che ci unisce è la visione molto educativa del movimento scout, molto orientata ai ragazzi e poco alla struttura organizzativa-logistica. Cerchiamo di coordinarci per le mozioni che dovremmo presentare e un primo passaggio per valutare i candidati da supportare. Certo che pesa l’aria che si respira dopo la crisi di novembre. Missoni non c’è più ma ciò non ha risolto, per molti, il grave problema di gestione democratica del movimento. Ma non sembra che tutti siano concordi, anzi altri pensano che il movimento sia stato salvato da una crisi profonda.
Vedremo domani. Vi terrò aggiornati.
Buonanotte…in Italia sono le 19:13, qui sono le 02:13 del mattino… ed è solo il primo giorno.
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